non resisto dal
condividere alcune riflessioni sui fatti recenti, riflessioni che altri
a loro volta hanno condiviso con me...
Loredana
Il delirio e la certezza. Quel gesto di madre a
Londra
La parola di una donna
ferma l'uomo dal machete
di Marina Corradi
in “Avvenire”
del 24 maggio 2013
La donna che ha affrontato uno degli assassini di
Londra e gli ha parlato mentre quello aveva ancora il coltello in mano, nelle
interviste alla Bbc sembra quasi meravigliata del clamore attorno a lei.
Racconta che quando ha visto quel giovane a terra, e un altro, vicino, ancora
minaccioso e armato, le è sembrato «un ragazzo sconvolto», e ha cercato di farlo
parlare per calmarlo. E per fermarlo: la strada era ogni minuto più affollata.
Ingrid Loyau-Kennett, madre di due figli, una lunga esperienza nello scautismo,
dice di aver pensato, in quel momento: «Meglio io, che un bambino».
Per
questo ha chiesto al ragazzo perché avesse ucciso, e che cosa intendesse fare.
Quello ha risposto con le sue cieche ragioni di jihad, e ha detto che voleva
fare scoppiare la guerra a Londra, quella sera. Ma intanto è rimasto fermo,
mentre le auto della polizia arrivavano a sirene spiegate. E la Gran Bretagna,
attonita per l’omicidio barbarico di un suo soldato, lo è quasi altrettanto per
la pacatezza di una donna che nelle foto appare mentre, appoggiata a un
paracarro, con apparente calma discute con un assassino. Per terra, e sulle mani
di quei due, c’è sangue, a testimoniare la ferocia bestiale della esecuzione.
Nei loro occhi, l’eccitazione e la rabbia ancora non sono placate. La gente
attorno scappa, o sta lontana. E questa madre di famiglia, invece, che si ferma
e discute e fa domande, come non facendo caso al coltello lordo dell’altro,
stretto in una mano.
Ora la signora Ingrid è guardata come un eroe, e
giustamente, in un mondo in cui spesso ci si volta dall’altra parte. Ma
l’essenza del suo comportamento è, a ben guardare, profondamente da madre. È da
madre il pensiero per i figli degli altri che in quell’istante camminano per la
strada; e il dirsi, nel tempo di un respiro: meglio io, che un bambino. È da
madre che non bada solo ai suoi, di figli, ma che si sente responsabile anche
per quelli degli altri. E si guarda attorno, e vede avvicinarsi dei ragazzini, e
in un drammatico istante li protegge, come proteggerebbe i suoi. È da madre
anche quella frase: «Mi è sembrato un ragazzo sconvolto », e quindi l’idea di
far parlare lo sconosciuto, per distrarlo. Come si fa con i bambini, quando sono
agitati. Solo che quell’uomo è alto più di lei, e ha il coltello, e quegli
occhi; e quell’odio addosso, esploso ma non ancora del tutto sfogato. Forse la
signora Loyau-Kennett fino all’altro ieri non avrebbe pensato di essere un eroe.
Forse, in una frazione di secondo, l’ha guidata l’istinto: ma quale istinto
grande, è quello materno. È un’attitudine a proteggere, e a fare sì che l’altro
viva invece di morire; a sfamare, ad accogliere chi non sa dove andare. È
vocazione ad abbracciare, il contrario del dominare e uccidere; è inclinazione
all’altro, come se di qualunque 'altro' occorresse aver cura. E forse, se l’uomo
con il coltello non ha aggredito la donna che gli si parava davanti, è perché in
quella pacatezza risoluta e ferma qualcosa ha fatto risuonare in lui dei codici
familiari; in qualche modo, oscuramente, l’ha riconosciuta come una 'madre', una
non nemica.
L’orrore per questa violenza da tempi delle caverne per le
strade di Londra contro un ragazzo inerme urta con forza contro alle nostre
certezze di civili occidentali. Ci sbalordisce, e sembra voler mettere in
discussione i fondamenti stessi del vivere insieme. Ma la risposta di quella
donna che non brandisce accette né alza inni a una qualche jihad è, nella sua
forza semplice, qualcosa di grande. Contro a una ferocia che ci sconvolge,
perché sembra voler cancellare secoli di storia e civiltà, c’è da sperare nella
calma generosa di donne, e uomini, come questa del quartiere di Woolwich. Che al
ragazzo che delira di voler fare la guerra a Londra, semplicemente risponde,
certa: «Guarda che siamo in tanti. Perderete».
Aggiungo la lettera di Cristina Comencini ‘La forza
delle donne è la parola’ su La Repubblica:
“ Ma lei ha avuto paura? – No, ho pensato meglio me che
un bambino e, anche, vabbè. questo qui è piuttosto agitato, non resta che
parlargli, un tempo ero insegnante perciò so essere a volte severa-. Poche
parole per esaltare il proprio ruolo, molte per calmare l’uomo armato d’un
machete. la donna inglese ha parlato a lungo, guardando la violenza negli occhi
dell’uomo che le stava davanti, trasformando altre possibili uccisioni in parole
scambiate. Questa è la forza possibile delle donne, la grande opportunità per la
società degli uomini di averle di fronte alla pari e di ascoltare le loro parole
nuove. Bambini, severità, domande, ascolto, concretezza, coraggio, forza,
ragionamento contro la paura e la violenza, tenerezza. Sì, anche la tenerezza
di un’altra donna che era lì, a pochi passi dai due che si fronteggiavano con le
parole e accarezzava il soldato a terra, morente. Non amo descrivere le donne
come vittime della violenza, anche se lo sono molto, trovo più appropriato dire
che quello che si vuole far sparire ammazzandole è la forza e la libertà delle
loro parole nuove. Le due donne inglesi, nell’emergenza di quegli attimi, hanno
manifestato il meglio della loro storia, della loro cultura, della loro
differenza. Hanno indicato una strada a tutti. Fatica la forza delle donne a
farsi largo nella cultura, nei pensieri, nel modo di intendere la vita, eppure
questa rivoluzione è a portata di mano, è vicina, non potrà essere
fermata”
Prevedo l’obiezione che non si può – e non si deve –
generalizzare ( non so, infatti se io, donna, sarei stata in grado di
comportarmi allo stesso modo), ma trovo, comunque, interessante condividere
queste riflessioni della Comencini, a partire dal gesto di ‘una’ donna a cui
essere grati e di fronte a cui, riflettere e cercare di
imparare.
Chiara
“Gashò* è più potente di un’atomica... peccato che non possa
esser sganciato da un aeroplano!” Gandhi
* ecco cos’è
Gashò:
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